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nuova, imponente sede, all'ingresso di Santa Sofia, una costruzione di valore che rispecchia, anche nei particolari architettonici lo slancio di una ditta giovane, ma che ha ormai conquistato una nicchia di mercato importante per l'economia della Valle del Bidente.

Oggi l' azienda è alla guida di Davide con la sorella Debora che hanno ereditato tutta la passione e l' amore per il lavoro dal padre Marzio, superando mezzo secolo di attività, tramandata da padre in figlio, per tre generazioni, nessuna delle quali ha mai lesinato ne sulla scelta dei materiali, (oggi la P.P.G. è specializzata nella posa di pavimenti e pietre naturali, porfidi, pietra indiana, graniti, travertini, marmi e pietra di Luserna) ne sulla formazione del personale, tutti i dipendenti sono abili posatori di pietre, manovrano i mezzi meccanici e sono certificati per operare in sicurezza nei cantieri. Nel 2004 la P.P.G. riceve anche la certificazione ISO 9001 ad oggi ancora riconfermata e mantenuta.

Posare pietre, tagliarle, ed incastrale l' un l' altra per creare o ristrutturare opere che devono lottare contro l' usura del tempo non è di certo facile, forse non lo sarà mai, l' onere di posare una

pietra che insieme alle altre formeranno una strada, un portico, una piazza o un cortile sarà sempre fatto a mano, con sapienti colpi di martello vibrati da abili artigiani che alla fine di ogni progetto godono l' impareggiabile soddisfazione di avere creato un' opera, grande o piccola che sia, ma di grande utilità per la comunità e realizzata per  perdurare nel tempo.

P.P.G.

di

Mengozzi Marzio e Davide s.a.s.


Via Giuseppe di Vittorio, 5

47018 - Santa Sofia (FC)


Tel 0543973050


Fax 0543973162


Mail ppg@ppgsrl.it


CONTATTI

Nel 1970, a soli 15 anni, Marzio Mengozzi è già al lavoro in una cava di albarese a Versara, un gruppo di case al di là del Bidente, di fronte al bel borgo antico di Pianetto, la Mevaniola dei romani. Forse in ognuno di noi, nelle strutture elicoidali del DNA, ci sono registrati i passaggi fondamentali dell'esistenza e Marzio, insofferente alla disciplina scolastica e agli studi, non vedeva l'ora di prendere la licenza media, il "pezzo di carta" obbligatorio per buttarsi con ardore nel mondo del lavoro. Un'esperienza dura ma fondamentale quella della cava dove Marzio segue l'impronta del padre Angelo (cavatore e posatore) e, naturalmente, i suoi suggerimenti. Dopo tre anni, ecco il primo salto, diventato maggiorenne abbandona la cava per aprire la "posizione" di artigiano specializzandosi in lavori di pavimentazione in pietra. La figura del padre torna prepotentemente nei racconti di Marzio anche se non mancano accenti amorevoli e affettuosi per la madre Maria Conficconi, nativa di Santa Sofia. Il padre ha segnato profondamente le scelte future del figlio. Angelo Mengozzi iniziò a lavorare come giovane apprendista nell'immediato dopoguerra in una delle ditte più antiche e famose della Romagna nel settore della lavorazione della pietra, quella di Luigi Albertini ancora oggi operante in Val di Francia , lungo la statale bidentina, a mezza via tra S. Sofia e Galeata. Angelo Mengozzi era un operaio abile e preciso nel tagliare i "filaretti" di arenaria, uno dei pochi che riusciva a farlo anche sott'acqua nei tratti più vocati del fiume Bidente, tra Qualtrosola, Val di Francia e Versara, a Valbona e al Mulino di Culmolle sopra Santa Sofia, lungo il Bidente di Pietrapazza, meglio conosciuto nella toponomastica locale come Bidente piccolo.

Il 1981 è l'anno del grande salto e Marzio, insieme ad un pugno di operai, Renato Mainetti, Roberto Barchi, Fabio Moretti e Davide Daveti, giovani e motivati, fonda la ditta "Posatori di porfido di Galeata" in sigla

P.P.G. In tal modo inizia un'avventura, o meglio una odissea per tutta l'Italia, da Sanremo alla Sicilia. Le pietre naturali che abbelliscono molti centri storici dello Stivale sono state posate proprio da questa giovane e intraprendente squadra che non lesinava certo ore di lavoro "da stelle a stelle", su e giù a rimuovere le pavimentazioni vecchie sostituendole con quei nuovi lastricati di cui si pregiano molte città italiane. Per far fronte ai tanti cantieri aperti la ditta si espande fino ad occupare 15 operai fissi, quando la P.P.G. è chiamata a Firenze ad eseguire lavori di smontaggio e di montaggio delle pietre vecchie negli angoli più suggestivi e famosi della città del Giglio.

Le strade e le piazze più conosciute in tutto il mondo (Piazza del Duomo, San Marco, Ponte Vecchio, Porta Romana, Palazzo Pitti, S.S. Annunziata, Borgo Ognissanti) così come la      mondana via Tornabuoni, per non parlare di via San Gallo, via dello Sprone, per arrivare a Santa Croce, S. Spirito, nel cuore di San Frediano vengono amorevolmente restaurate, ritoccate da questi energici ma passionali romagnoli. Ancora oggi la P.P.G. è spesso chiamata a Firenze, numerosi sono

stati gli attestati di benemerenza, ma Mengozzi ricorda tra i tanti episodi l'ospitalità e la multiforme clientela della trattoria "La casalinga" e, soprattutto, l'impegnativo restauro di via dei Georgofili a seguito del tristemente famoso attentato dinamitardo.

Un lavoro ben eseguito, ricordato anche in un articolo da "La Nazione" di Firenze, rampa di lancio per nuovi, innumerevoli lavori in Toscana, da Prato al Casentino.

La ditta ha, oggi, diversificato la sua attività si è già affacciata, con buoni risultati, nel campo della ristrutturazione dei fabbricati, nella messa in opera di prefabbricati in legno, nella bonifica montana e lavori di forestazione, nel verde urbano e nell'impiantistica sportiva.

Questa diversificazione produttiva ha permesso all' azienda (gli operai sono tutti residenti nei comuni dell'alto Bidente) di evitare lunghe trasferte per tutta l'Italia come accadeva qualche anno fa.

L' infinita crisi Edilizia iniziata nel 2008 non salva di certo la P.P.G. che ha subito capito di doversi distinguere, alzando l' asticella della qualità ai massimi livelli, elevandosi per precisione, bellezza delle opere e scelta dei materiali ai quali l' azienda ha sempre dato la dovuta importanza non accettando mai compromessi che minassero della qualità e la perfetta riuscita dei suoi progetti.

II lavoro è duro ma le soddisfazioni non mancano, come gli attestati di benemerenza, numerosi, che la P.P.G. ha ricevuto da enti locali e privati.

Il salto qualitativo della ditta è testimoniato ampiamente dalla costruzione della nuova

SERVIZI

Opus - Incentrum in pietra di Luserna

Opus - Incentrum a spacco naturale (detto anche a mosaico, palladiana o lastrone) utilizzato sia come pavimento che come rivestimento di pareti.

Cubetti in pietra di Luserna

Cubetti a spacco naturale per posa ad archi contrastanti, a coda di pavone oppure a file dritte.

Quadrettoni in pietra di Luserna

Pavimenti con piano naturale e lati martellati a manocomunemente chiamati “QUADRETTONI”. Ideali sia per posa su cemento che su sabbia o terra

Pavimenti lati segati in pietra di Luserna

Pavimenti a spacco naturalecon lati segati. Disponibili in vari formati e spessori

Binderi in pietra di Luserna

Binderi con piano naturale e lati tranciati. Disponibili in vari formati e spessori

Piastrelle piano naturale in porfido

Piastrelle di porfido trentino grigio/marrone, piano naturale, cose a spacco

Piastrelle segate in porfido

Piastrelle di porfido trentino grigio/marrone, piano naturale, cose refilate a sega per posa a pavimento.

Mosaico di porfido

Mosaico di porfido trentino supergigante, piano naturale, lati irregolari tranciati, colore grigio marrone.

Ciottoli in porfido

Ciottolo piatto di porfido trentino, piano naturale, coste tranciate e burattate.

Binderi in porfido

Binderi di porfido trentino, piano naturale, lati a spacco, colori misti.

PRODOTTI

Lavorare la pietra, una storia antica...

Il mestiere dello scalpellino è antico quanto le più remote civiltà del mondo. Lo stesso vocabolo ha un'origine lontana, dal latino scalpere, che significa incidere o intagliare, veniva usato già nell'antichità per definire l'artigiano che lavorava con lo scalpello la pietra. Da allora, per secoli, mani esperte si sono tramandate l'arte di lavorare la pietra.

Scalpellini si diventava solo dopo un lungo apprendistato, da padre a figlio si trasmettevano nel tempo conoscenze e tecniche di lavorazione. Ma La prima qualità per apprendere l'arte era quella di saper "rubare con gli occhi" dai più bravi, che spesso non erano disposti a perder tempo ad insegnare, pressati dalla quotidiana necessità di guadagnarsi il pane, o gelosi del proprio sapere.

fiorita fin da tempi antichi, una rinomata attività legata all'estrazione e alla lavorazione della pietra.

Nell'architettura popolare, nei palazzi signorili come negli edifici di culto, la semplice pietra, spesso preferita al nobile marmo, è stata utilizzata in modo sapiente, facendo risaltare la grande maestria degli artigiani. Il tipico colore grigio della pietra lavorata, ancora rintracciabile nelle tonalità cenerine delle case più antiche e nella copertura di strade e mulattiere ormai in disuso, è divenuto parte integrante del paesaggio della montagna romagnola.

A Firenze, capoluogo di queste vallate della lontana Romagna toscana, i grandi architetti del periodo rinascimentale, artisti del calibro di Brunelleschi e Michelangelo, preferirono molto spesso utilizzare la pietra serena al posto del

marmo, anche nelle lavorazioni più rilevanti.

Gli influssi della prestigiosa arte fiorentina erano evidenti nella maestria acquisita nel lavorare la pietra e, proprio dalla capitale, furono importati i modelli creativi utilizzati in seguito dagli scalpellini di Galeata.

Questi si formarono alla scuola dei maestri fiorentini e furono ben presto in grado di affrontare lavori di notevole impegno, con grande abilità artigianale e padronanza del mestiere. Basti l'esempio di Pianello e dello famosa Abbazia di Sant'Ellero, a quattro chilometri da Galeata, dove si conservano sulla facciata e negli interni i segni di questo felice connubio. L'elegante ed ariosa architettura toscana aveva così trasmesso anche alla Romagna appenninica il gusto della pietra serena, ingentilendone il panorama architettonico, anche in queste zone di montagna spesso segnate da una povertà secolare.

Ancora oggi i rustici casolari della zona, molti dei quali abbandonati ormai da lungo tempo, ci sorprendono per l'inaspettata ricercatezza dei particolari: pietre bugnate, contorni in arenaria di finestre e porte, che hanno solitamente l'architrave dell'ingresso con decorazioni floreali in rilievo e che, pur nell'apparente semplicità della stilizzazione, rivelano l' abilità dello scalpellino. Gli scalpellini vivevano nelle vicinanze delle cave. I più famosi ne diventavano addirittura proprietari. L' attività si svolgeva costantemente all'aperto: quando non si estraeva la pietra in cava si lavorava, di solito, direttamente nel luogo di collocazione delle opere. Persisteva in zona la storica interdipendenza dei due ruoli, di cavatore e scalpellino. Entrambi lavori per gente robusta, con grande capacità

inverno di queste montagne.

La scelta della pietra, rappresentava per lo scalpellino un momento fondamentale, dato che l'esito finale del suo lavoro risultava condizionato in buona parte dall'esatta cernita del blocco e dalle sue caratteristiche di consistenza e lavorabilità. Una volta individuato quello giusto restava comunque il problema di come spostarlo: per i macigni di grandi dimensioni si utilizzavano rudimentali rulli di legno e fino alla comparsa delle prime macchine il lavoro si è sempre praticamente svolto come nell'antichità.

Lo scavo della pietra avveniva in varie località del territorio di Galeata. Il lavoro procedeva per gradi: i blocchi prima dell'estrazione venivano "tastati" con una punta per saggiarne le caratteristiche. Lavorando poi di badile e carriola, si distaccava il "cappellaccio", cioè quel materiale di scarto, terra o galestro, che si trovava sopra la roccia da lavorare.

Questa operazione era un tempo effettuata dalla più umile categoria di questo settore, gli spaccapietra: manovali che da mattina a sera colpivano la pietra con i

loro mazzetti, frantumando a mano il materiale di scarto della cava, riducendolo a breccia da utilizzare in sottofondi stradali o nelle massicciate.

Con appositi scalpelli venivano aperte sulla pietra, una serie di fessure ravvicinate, fino a separarne, aiutandosi con cunei e mazze, un masso adeguato di volta in volta all'opera da realizzare.

Solo a questo punto iniziava il lavoro dello scalpellino, che richiedeva grande esperienza ed inventiva. La disattenzione di un attimo e un colpo sbagliato poteva vanificare tutto il lavoro. La mano "accarezzava" il materiale individuandone l'intima composizione, mentre l'occhio era tenuto a riconoscere il verso naturale della pietra e l'esperienza doveva poi dare la giusta energia allo scalpello. Nei lavori più impegnativi e di pregio, come gli ornati, si utilizzava un disegno preparatorio che lo scalpellino doveva tradurre nella pietra.

Per cercare di comprendere il mestiere di scalpellino bisogna però prestare attenzione alle tante opere realizzate nel passato nella valle del Bidente. Tra i lavori più frequenti la realizzazione delle pietre bugnate che ornavano i portali e gli

La pietra ha sempre caratterizzato i diversi stili architettonici, che riportavano l'impronta della materia, più o meno nobile, ricavata dalle cave più vicine. Nell' Appennino romagnolo le cave di pietra hanno costituito da secoli un' importante risorsa naturale. E non è un caso che proprio a Galeata, nella valle del Bidente, ricca di cave di albarese, sia

lavorativa, non meno di dieci ore d'inverno e ancor più nella bella stagione. Quando gli impianti di lavorazione si trovavano direttamente nella cava, si faticava sotto una semplice capanna, dove si trovava un parziale riparo dal sole e dalla pioggia, ma certo non dal freddo

angoli dei palazzi, colonnine e parapetti, altari di chiese, basamenti di caminetti e stemmi per le ville, balaustre, gradini di scale, mensole e lavabi per le case più umili, senza dimenticare la pavimentazione di strade e piazze. Tutto questo veniva realizzato con arnesi del mestiere incredibilmente semplici, gli stessi usati da sempre: scalpelli, punte, mazzoli, martelli, raspe, lime e trapani a corda; la forma degli arnesi, che gli scalpellini si costruivano da soli (sulla fucina e sagomandoli all'incudine) variava a seconda del lavoro da fare.

decretando un duro colpo a questa millenaria professione.

Ma il mestiere di 'scalpellino' non è stato fortunatamente del tutto dimenticato. Aziende come la P.P.G. hanno rinnovato questa antica attività, a metà strada fra artigianato e arte, conservandone il segreto. I segni del progresso sono certamente evidenti: gli strumenti di lavoro sono cambiati, ma ciò che conta è ancora la cultura manuale nella lavorazione della pietra, nella continuità della tradizione tramandata dai maestri scalpellini.

L'attività di questo gruppo ha assunto negli ultimi anni un ruolo importante in molti progetti di recupero e valorizzazione dei centri storici delle aree urbane e nella pavimentazione delle zone pedonali.

E' proprio in città ricche di storia come Firenze e Bologna, ed in altri piccoli e grandi centri, che il lavoro della P.P.G. si è reso indispensabile, soprattutto per quanto riguarda quei nuovi e diffusi interventi di arredo rispetto ed attenzione nei confronti dei segni del lavoro passato.

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Dopo secoli questo antico mestiere ha rischiato di scomparire. Dalla metà del '900 arrivarono i mutamenti del gusto e nelle tecniche costruttive, e l'utilizzo dei meno ricercati, ma più economici, cemento e calcestruzzo. Gradualmente soppiantarono la pietra anche negli ornamenti,